Cookies' Blog

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martedì 1 novembre 2011

Una cartolina per le stelle



Sono le otto di sera e si sta facendo tardi. Ancora non so se rimanere o no.
Entro in un bar, lo spazio è stretto, i tavolini sono troppo ravvicinanti, non si riesce a passare. Una signora mi dà uno sguardo torvo. Le ho arrecato troppo disturbo mentre passavo con la borsa. L'ho appena sfiorata, ma lei si è infastidita.
Squilla il cellulare.
Forse è meglio uscire.
Mi affaccio sulla porta del bar, esco sul marciapiede e do uno sguardo a quello scorcio della città che mi si para davanti: è una città che non mi appartiene, sebbene la conosca già; una Firenze che ho già visitato in sogno, ne conosco tutte le strade, almeno quelle che si affacciano alla mia vista. Non conosco il nome delle vie che formano quell'incrocio, ma sulla destra so che c'è una libreria. Ci sono già stata, tante volte.
È Andrea.
Mi chiede di tornare a casa. Anzi mi esorta a farlo.
Cosa ci faccio ancora lì.
Anche la mostra mi è estranea. Non ricordo più chi, che cosa, né dove.
Mi avvio.
Cammino, cammino, cammino.
Mi perdo.
Il sole sta per tramontare. Disegna un arco oro e arancio attorno a un'architettura estranea a quel luogo. I tetti e le facciate che si intravedono dal terrazzino interno di un palazzo hanno tratti morbidi, tondeggianti che ricordano la fantasia di Antonio Gaudì. Sono rapita da tanta bellezza, condivisa da altre persone che si trovano lì: sono studenti, lì fermi in piedi che osservano immersi nella luce calda della sera.
Mi volto.
Un salotto.
Alcune signore, sedute in poltrona mi sorridono e mi rivolgono la parola.
Sono stupita.
Come ho fatto ad arrivare lì. Mi hanno accolta, mi hanno fatto entrare anche se estranea.
Un bambino mi viene incontro. Mi sorride. Parla con me.
Provo un indescrivibile tenerezza.
Legge nei miei pensieri:
«Scendi le scale... ti volti, come per suonare il campanello. Guardi il portone. E vai a sinistra!».
Scendo di corsa le scale.
Mi volto.
Come per suonare il campanello.
In fondo alla strada si apre un arco.
Torno indietro, ricordo le sue parole:
«è lontano, devi camminare sempre dritto... sì ci sono anche autobus, il numero 3...».
Non ricordo altro.
Corro indietro per vedere il nome della strada.
Vicolo Niccolò del Coro.
E il nome del bambino: mi sembra Andrea o Giovanni, non ricordo bene.
Sul campanello è scritto Papi.
Grazie piccolo Andrea o Giovanni, ti spedirò una cartolina, non appena a casa.
Te lo prometto.

1 novembre 2011

© Marzia Pasticcini
 
 
Note 
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Una cartolina per le stelle è un sogno lucido, risvegli in altri sogni


La farfalla è chiaro simbolo di trasformazione, archetipo della vita, che reca in sé l’orrido e la bellezza, entrambe parti della medesima unità.
Ma spetta al sognatore svelare il suo significato più recondito.
Richard Bach, alla fine, ha vinto lui.
Ho comprato un taccuino su cui registrare le idee improvvise e che porto sempre con me. Non è il primo, solo l’ultimo di una lunga serie di quaderni che tengo custoditi in una scatola. Ormai non ci stanno più da quanto sono numerosi.
É il mio “Diario onirico” che scrivo ogni mattina, al risveglio, o nel cuore della notte, pronta a catturare immagini evanescenti prima che svaniscano nell’oblio.
È come una seconda vita: ho fatto esperienze nei sogni: ho imparato a volare, ho fatto progressi e mi sono avvicinata ai sogni lucidi, quelli in cui si ha la consapevolezza di sognare e che, se sfruttati bene, ti possono guarire e ritrovi il tuo vero sé divino.
È sufficiente avere la consapevolezza di stare sognando.
È allora che puoi sconfiggere i nemici, trasformare un incubo in una esperienza indimenticabile.
Ma è arduo rimanevi, nel sogno… trattenere le immagini.
Mi è stato detto che la notte tra il 31 ottobre e il 1 novembre 2011 sia stata una notte magica, nella quale, alcune persone, tra le più sensibili, abbia avuto esperienze oniriche extracorporee, o sia stata visitata da divinità o esseri provenienti da un altrove non ben precisato.
Così è stato per me.


Primo risveglio:
È ancora notte, devo ricordare una storia; la trattengo, la scriverò più tardi al risveglio.
Ma è successo un incidente: due macchine bianche parcheggiate lungo il marciapiede. Vedo tutto al di là della strada, sull’altro marciapiede. Camilla e Andrea sono testimoni. Stanno discutendo con chi si trova sul posto, per ricostruire la dinamica della vicenda.
Non so come sia possibile, né per quale motivo, ho una pompa di benzina tra le mani.
La tiro verso di me, cerco di allungarla il più possibile.
Non riesco a vedere dove si trova il distributore, so solo che la gomma attraversa la strada. Alcune auto sopraggiungono e la schiacciano con gli pneumatici.
Provo ad alzarla da terra, stendendo le braccia in alto, per cercare di farla passare da sopra il cofano delle auto in corsa, ma non arriva.
Ne ho abbastanza. Devo raggiungere la nostra auto parcheggiata più in là nella piazza che si trova alla mia sinistra, dove mi aspettano carta e penna per annotare la storia. L’auto svanisce davanti ai miei occhi.


Secondo risveglio:
Sono a casa. Davanti al computer. Camilla e Andrea dormono. La storia è ancora tutta nella mia testa. Sento un rumore. Uno squittio. Si apre la porta in fondo al corridoio buio, rischiarato solamente dalla luce blu dello schermo.
È la fine.
Vorrà il computer per sé e non mi farà scrivere.
Trattengo la storia affinché non svanisca, è importante.
A svanire non è la storia, ma Camilla.


Il terzo risveglio mi trova nel letto con un solo pensiero:
devo scrivere una cartolina per le stelle.