Cookies' Blog

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lunedì 26 settembre 1994

Il viaggio

La stazione di Certaldo è difficile da raggiungere. Tra la strada e la stazione è frammisto uno scoglio scivoloso, con pozze d’acqua dove molte persone fanno il bagno. Bisogna camminare cauti per non scivolare.

Sono con la Giusy, stiamo attraversando la strada e notiamo per la priva volta che una piccola rocca si erge sopra un poggio sovrastante la stazione. <<Ma tu l’avevi mai notata prima quella piccola rocca lassù?>> <<No, eppure so che c’è sempre stata!>>

Camminiamo, andiamo avanti. Lo scoglio si fa scivoloso, mi devo togliere i sandali; sto camminando carponi su per la roccia e impreco e mi arrampico a fatica; in alto le persone si lasciano scivolare via a terra, trasportate da una specie di manovia; scorrono via ammucchiate in maniera disordinata le une sulle altre: Mi sembrano articoli da supermercato. Penso guardandoli <<quasi quasi ci metterei una cassiera alla fine di questa manovia a contare tutta questa gente>> e ne rido.

Raggiungiamo il sottopassaggio e qualcuno dice lamentandosi: <<Noi di Certaldo non paghiamo il biglietto. No, non lo paghiamo!>>

Salita sul treno, incontro due ragazze che invece dicono di averlo pagato. Ma allora… penso: chi si è lamentato era soltanto un episodio a sé, una singola persona che poi avrebbe fatto come tutti. Perciò scendo giù dal treno e mi ritrovo per le scale che portano al garage di un traghetto, anche se sono ben consapevole di essere sempre sul treno.

Apro lo sportello del treno e sono sui binari, dalla parte sbagliata. Risalgo, ridiscendo di nuovo, e, ancora una volta, sono scesa dalla parte sbagliata, ed è anche sopraggiunta la coincidenza. Chiudo lo sportello, rassegnandomi a fare il viaggio senza biglietto.

Mi volto, vedo il controllore. È giovane. Mi avvicino a lui dicendogli che devo scendere perché non ho fatto in tempo a fare il biglietto. Lui mi chiede dove sono salita. Gli dico che sono salita a Certaldo. Poi gli domando quanto tempo ho a disposizione prima che il treno riparta. <<Un quarto d’ora>> mi risponde. Non ce la posso fare.


Non siamo ancora partiti da Certaldo che già siamo ad Empoli. Ho già fatto metà del viaggio senza accorgermene. Lui mi guarda fisso negli occhi, due occhi verdi verdi, uno sguardo intenso. Io lo guardo; provo qualcosa che non so spiegarmi; amore? Attrazione? Mi abbandono voltandogli le spalle. Mi accarezza il viso, poi con le dita, lui si accarezza il suo viso, sfiorandolo appena e ci disegna sopra una rete intricata di colore bianco. Poi, con il polpastrello dell’indice sinistro, traccia una striscia rossa sulla guancia sinistra come la pittura degli indiani. I capelli poi sono nascosti da tante striscioline di carta bianca che si è strappato con le sue stesse mani. È quasi un rito magico. Poi mi prende la mano tra le sue, me la guida in basso, a terra, giù sempre più giù fuori dal pavimento fino alla ruota del treno.


Dentro i raggi della ruota sotto un elastico appare un biglietto come per magia. Un regalo che lui mi ha fatto. Getta via i capelli di carta dal finestrino. Un vecchio ferroviere lungo le rotaie raccoglie cartacce con un bastone appuntito. Vede volare i capelli di carta. <<Mah!>> esclama con meraviglia, sgomento e rassegnazione per coloro che lasciano rifiuti ovunque..

Il treno arriva a destinazione. La ragazza: io (Valerie Kaprisky), scende. Il treno riparte, lui riparte; non le ha lasciato né il nome, né l’indirizzo, solo una bella storia.


Mi sveglio, voglio scrivere il sogno, una bella storia, un bel soggetto cinematografico: <<Tutto cominciò in una stazione…>> penso alla scena in cui lei scende dal treno e il treno riparte sfrecciando alle sue spalle. Poi ricordo che inizia diversamente, con la scena della manovia. C’è Andrea che non mi vuole lasciare andare. Prendo carta e penna. La penna non è una penna, non posso scrivere, ma non devo dimenticare il sogno.

Mi accorgo che sto ancora sognando.

 

© Marzia Pasticcini

26 settembre 1994