Il
mio momento tranquillo non è stato rivelato da una farfalla,
anche se questa è un'immagine ricorrente dei miei sogni, ma da un
fiocco di neve.
Sì,
un momento epifanico, sottolineato da un fiocco di neve caduto sul
risvolto del mio cappotto nero.
Avrò
avuto vent'anni, stavo da poco con Andrea.
Eravamo
a Firenze, vicino al mercatino delle pulci, in attesa davanti ad un
cinema d'essai.
Non
ricordo né il giorno, né il titolo del film.
Sarà
stato gennaio o febbraio, i mesi più freddi dell'anno.
Eravamo
arrivati con largo anticipo, per non rimanere fuori ed occupare così
i posti migliori.
Ci
è sempre piaciuto l'inverno. Uscire col cappotto. Andare al cinema.
Non
è che avessi una domanda o un pensiero che mi stesse a cuore, in
quel preciso momento. Solo che eravamo entrambi nella disposizione
d'animo di attesa di qualcosa di straordinario, anche se non sapevamo
bene cosa.
I
nostri sensi erano immersi in un momento di sospensione temporale, in
un oceano di piacevole benessere e, conseguentemente, al massimo
delle nostre abilità percettive.
Ed
ecco che un fiocco di neve venne a cadere sul risvolto del mio
cappotto.
Era
così minuscolo, piccolo, piccolo.
Ognuno
era immerso nei propri pensieri e non ci dicemmo niente.
Non
una parola, non un gesto di intesa, neppure uno sguardo tra di noi.
Entrambi
però condividemmo la stessa esperienza: lo osservammo discendere,
digradare e lentamente adagiarsi sul tessuto.
Pur
nella sua piccolezza, così, ad occhio nudo, lo vedemmo. Un minuscolo
cristallo di ghiaccio, perfetto in ogni dettaglio: tre assi
perfettamente intersecati in una simmetria esagonale e le sue
ramificazioni come foglie di felce.
La
realtà che imita la finzione. Sembrava proprio uno di quei cristalli
di plastica trasparente con cui si addobbano le vetrine dei negozi a
Natale.
Un
segno di intesa.
Sentimenti,
emozioni ed interessi condivisi.
Stiamo
ancora insieme, io e Andrea.
E
da quattordici anni, ci accompagna una splendida creatura: Camilla.
©
Marzia Pasticcini
29
dicembre 2011