«Non fa mai niente. Continua a leggere».
«D'altro non sa fare niente»
«È l'occupazione più inattiva che ci sia».
«È pigrizia».
«Legge, invece di...»
«D'altro non sa fare niente»
«È l'occupazione più inattiva che ci sia».
«È pigrizia».
«Legge, invece di...»
Tutti questi discorsi mi suonano familiari. Mi hanno rimproverato anche a me, da sempre di leggere “invece di... fare le pulizie, lavare i piatti della sera prima, di andare a fare la spesa, di lavare e di stirare i panni...”.
E ciò è bastato a rendermi simpatica e vicina questa autrice che con conoscevo.
In sole cinquantatré pagine è condensata la vita di una donna ungherese, esule, rifugiatasi nella svizzera francese di cui non conosce la lingua.
Nel 1956 – a soli 21 anni e con una figlia appena nata – è costretta a lasciare il suo paese di origine per evitare le persecuzioni politiche da parte dell'Armata Rossa, intervenuta per debellare la rivolta popolare contro l’invasione dell’Ungheria da parte dell'Unione Sovietica.
In sole cinquantatré pagine è condensata la vita di una donna ungherese, esule, rifugiatasi nella svizzera francese di cui non conosce la lingua.
Nel 1956 – a soli 21 anni e con una figlia appena nata – è costretta a lasciare il suo paese di origine per evitare le persecuzioni politiche da parte dell'Armata Rossa, intervenuta per debellare la rivolta popolare contro l’invasione dell’Ungheria da parte dell'Unione Sovietica.
In Svizzera, Agota è costretta ad affrontare tante difficoltà, la prima delle quali: l'impossibilità a farsi comprendere in una lingua a lei estranea: il Francese. Ma lei pare non perdersi d'animo; affronta con grande coraggio la povertà, la fame, il freddo e la fatica del lavoro come operaia. Ma è proprio durante il lavoro ripetitivo in fabbrica che inizia a comporre poesie: “Per scrivere poesie la fabbrica va benissimo, si può pensare ad altro, e le macchine hanno un ritmo regolare che scandisce i versi. Nel mio cassetto, ho un foglio e una matita. Quando la poesia prende forma, prendo nota. La sera metto tutto a bella in un quaderno.” (pag. 41)
La letteratura nelle sue forme di scrittura e lettura è una malattia: “Leggo. È come una malattia. Leggo tutto ciò che mi capita sottomano, sotto gli occhi: giornali, libri di testo, manifesti, pezzi di carta trovati per strada, ricette di cucina, libri per bambini. Tutto ciò che è in caratteri di stampa.” (pag. 9), ma è una malattia salvifica, che dà un senso alla sua vita. e la trasformerà in una scrittrice di successo.
Tuttavia Agota continua a chiedersi: “Come si diventa scrittori?” (pag. 43).
Tuttavia Agota continua a chiedersi: “Come si diventa scrittori?” (pag. 43).
La risposta interessa anche a noi amanti della scrittura:
“Prima di tutto, naturalmente, bisogna scrivere. Dopo di che bisogna continuare a scrivere. Anche quando non interessa a nessuno. Anche quando si ha l'impressione che non interessi mai a nessuno. Anche quando i manoscritti si accumulano nei cassetti e li si dimentica, pur continuando a scriverne altri.” (pag. 45)
“Prima di tutto, naturalmente, bisogna scrivere. Dopo di che bisogna continuare a scrivere. Anche quando non interessa a nessuno. Anche quando si ha l'impressione che non interessi mai a nessuno. Anche quando i manoscritti si accumulano nei cassetti e li si dimentica, pur continuando a scriverne altri.” (pag. 45)
Come sarebbe stata la mia vita se non avessi mai fatto corsi di scrittura?
Non lo so, forse meno ricca di stimoli rispetto a quelli che ho ricevuto in questi anni. La cosa certa è che avrei scritto, in qualsiasi posto, in qualsiasi modo i miei racconti onirici.
Non lo so, forse meno ricca di stimoli rispetto a quelli che ho ricevuto in questi anni. La cosa certa è che avrei scritto, in qualsiasi posto, in qualsiasi modo i miei racconti onirici.
© Marzia Pasticcini
10 febbraio 2013
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