Nell'ora della pausa pranzo mi prendo un intervallo di tempo per scendere giù con l'ascensore che si rivela essere un montacarichi. Me ne rendo conto perché le pareti non sono ferme, si muovono, e sulla base sono poste alcune pile di mattonelle di pietra serena, una di queste è appoggiata alla parete che copre uno spazio vuoto.
Premo il pulsante e la base del montacarichi prende a scendere e va giù senza fermarsi a nessun piano; mi porta a un magazzino sotterraneo. È una fabbrica dove non sono mai stata, non sapevo neppure che esistesse. Mi guardo attorno e osservo ogni dettaglio. Vedo una donna che mi volta le spalle e grida qualcosa ai colleghi operai. Sta rimestando con vigore con la mano sinistra in una grossa ciotola, è mancina. Sta scioglindo una polvere marrone scuro testa di moro in un solvente per rendere omogeneo il preparato: un mordente per colorare prodotti di legno che producono in quella fabbrica sotterranea.
La donna è vestita di nero e tutto intorno a me è nero. Mi muovo accanto agli operai che non badano a me; passo in mezzo a loro senza interagire con nessuno, come fossi invisibile o trasparente, in quell'ambiente in bianco e nero dal sapore antico e in assenza di colore.
Vado ancora avanti e in una stanza vedo due letti con due operai coricati che sembrano malati d'ospedale, oppure vivono lì. Anche lì tutto è in bianco e nero. Nessuno bada a me, nessuno mi vede. Sono invisibile, una mera osservatrice. Mi vengono in mente le frasi "piani bassi" e "voi dei piani alti".
Domenica 21 settembre 2025
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