Il panorama davanti a noi si estende a perdita d'occhio in fazzoletti di terra coltivata, un patchwork di bionde spighe di grano e riquadri colorati: un arcobaleno di fiori, verdure e frutti biologici che mostro con entusiasmo a mia madre dal colle sovrastante.
Sono sovraeccitata per la presenza di tutta questa abbondanza, a opera di una comunità ecologica che si è insediata a valle, al punto da voler scattare una foto. C'è la luce giusta, il sole e il cielo azzurro, ma c'è un tale via vai di gente che si mette in mezzo, al ché la foto non riesce. L'immagine o è troppo scura, la luce non sembra quella giusta, o non rispetta i colori, e qualcuno si infila nel riquadro immediatamente al momento dello scatto, È impossibile immortalare quell'istante, per cui ci rinuncio.
Mi viene affidata momentaneamente una bambina piccola di poco più di 12 mesi che si avvicina pericolosamente al muretto privo di parapetto. L'afferro nel punto più pericoloso, dove il terreno è nudo e si sfalda.
La alzo da terra e la prendo in collo; è un po' pesante, ma è soffice e tenerissima al contatto con la mia guancia.
C'è una festa, un gran banchetto, siamo seduti a un lungo tavolo in campagna con tanto cibo buono. C'è anche la mia amica Silvia che non vedo da decenni. Vorrebbe la torta di formaggio, quel che ne resta, ma Andrea la vuole per sé, perché troppo buona. Penso di dirle che non abbiamo resistito ed è stata fatta fuori.
Vicino alla campagna c'è un borghetto. Mi avvicino e vado a chiedere informazioni per un corso.
Varcato il portone accanto alla chiesa, nello spazio interno antistante un camino, vedo due suore vestite di nero sedute una di fronte all'altra su due sedie piccole di ferro con sedile e spalliera in formica color acqua marina.
“Buongiorno!” le saluto con un filo di voce. La suora che mi volta le spalle si gira verso di me. Allo stesso modo chiedo se la sera fanno il corso.
“Chieda a Monsignore!” dice questa e non aggiunge altro.
Senza alcun'altra indicazione da parte loro, vado avanti timorosa, perché non vedo nessuno davanti a me e sulla sinistra una fila di porte bianche chiuse che non oso aprire, ma che devo se voglio avere una risposta.
Con mano tremante spingo leggermente la prima porta. Nello spiraglio che si apre intravedo un lettino medico disfatto con sopra un lenzuolo stropicciato. Sembra un'infermeria. Ritiro immediatamente la mano e la porta si richiude.
Vado avanti e allo stesso modo apro la seconda porta.
Vedo una fila di letti da ospedale con l'intelaiatura in ferro smaltata di bianco e lenzuola bianche al cui interno giacciono malati. Rimango sulla porta ad osservare un lungo corridoio dove passeggiano uno o due preti in tonaca nera.
Chiedo loro di Monsignore e quando lui compare gli chiedo se la sera fanno il corso.
Monsignore mi dice che sì il corso c'è e si terrà alle quattro del pomeriggio. “Parleremo del figlio!” dice.
Manca solo un quarto d'ora alle quattro e sono senza auto; dovrò tornare con la macchina di mia madre. Sto pensando se partecipare o meno e se faccio in tempo.
Martedì 24 dicembre 2025
©️ Marzia Pasticcini

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