Cookies' Blog

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domenica 10 febbraio 2013

Leggere e Scrivere: una malattia salvifica

«Non fa mai niente. Continua a leggere».
«D'altro non sa fare niente»
«È l'occupazione più inattiva che ci sia».
«È pigrizia».
«Legge, invece di...»
Tutti questi discorsi mi suonano familiari. Mi hanno rimproverato anche a me, da sempre di leggere “invece di... fare le pulizie, lavare i piatti della sera prima, di andare a fare la spesa, di lavare e di stirare i panni...”.
E ciò è bastato a rendermi simpatica e vicina questa autrice che con conoscevo.
In sole cinquantatré pagine è condensata la vita di una donna ungherese, esule, rifugiatasi nella svizzera francese di cui non conosce la lingua.
Nel 1956 – a soli 21 anni e con una figlia appena nata – è costretta a lasciare il suo paese di origine per evitare le persecuzioni politiche da parte dell'Armata Rossa, intervenuta per debellare la rivolta popolare contro l’invasione dell’Ungheria da parte dell'Unione Sovietica.
In Svizzera, Agota è costretta ad affrontare tante difficoltà, la prima delle quali: l'impossibilità a farsi comprendere in una lingua a lei estranea: il Francese. Ma lei pare non perdersi d'animo; affronta con grande coraggio la povertà, la fame, il freddo e la fatica del lavoro come operaia. Ma è proprio durante il lavoro ripetitivo in fabbrica che inizia a comporre poesie: “Per scrivere poesie la fabbrica va benissimo, si può pensare ad altro, e le macchine hanno un ritmo regolare che scandisce i versi. Nel mio cassetto, ho un foglio e una matita. Quando la poesia prende forma, prendo nota. La sera metto tutto a bella in un quaderno.” (pag. 41)
La letteratura nelle sue forme di scrittura e lettura è una malattia: “Leggo. È come una malattia. Leggo tutto ciò che mi capita sottomano, sotto gli occhi: giornali, libri di testo, manifesti, pezzi di carta trovati per strada, ricette di cucina, libri per bambini. Tutto ciò che è in caratteri di stampa.” (pag. 9), ma è una malattia salvifica, che dà un senso alla sua vita. e la trasformerà in una scrittrice di successo.
Tuttavia Agota continua a chiedersi: “Come si diventa scrittori?” (pag. 43).
La risposta interessa anche a noi amanti della scrittura:
“Prima di tutto, naturalmente, bisogna scrivere. Dopo di che bisogna continuare a scrivere. Anche quando non interessa a nessuno. Anche quando si ha l'impressione che non interessi mai a nessuno. Anche quando i manoscritti si accumulano nei cassetti e li si dimentica, pur continuando a scriverne altri.” (pag. 45)
Come sarebbe stata la mia vita se non avessi mai fatto  corsi di scrittura?
Non lo so, forse meno ricca di stimoli rispetto a quelli che ho ricevuto in questi anni. La cosa certa è che avrei scritto, in qualsiasi posto, in qualsiasi modo i miei racconti onirici.

© Marzia Pasticcini
10 febbraio 2013

lunedì 28 gennaio 2013

Sprofondare insieme fino all'estremo limite dell'abisso

I complici è il primo romanzo di Georges Simenon che leggo e mi dispiace non averlo scoperto prima, tanto ero condizionata dall'immagine televisiva del Commissario Maigret. Ma i romanzi con i commissari non mi stimolano più di tanto, non mi sono mai piaciuti molto. Anche se per qualcuno, quella che sto per dire sarà una sottigliezza – una questione di lingua o di colore (intendo il colore giallo o nero della copertina) – per me non lo è affatto: alla ricostruzione dei fatti, ho sempre preferito l'atmosfera noir dei momenti che precedono la tragedia. Una tragedia inaspettata che accade e travolge la vita e il destino di persone normali che vivono una vita ordinaria senza alti né bassi, ignari del fatto che stanno per attraversare una soglia. Una soglia che li condurrà inevitabilmente verso un baratro. E quando poi se ne accorgeranno, sono ben oltre, in caduta libera nell'abisso.
E in caduta libera è Joseph Lambert, il protagonista, dalla coscienza sporca che tenta di nascondere pure a se stesso l'incubo e il senso di colpa che lo tormenta.
Joseph Lambert è un imprenditore, un borghese di provincia, stanco della moglie e un gran donnaiolo, ha una relazione con la sua segretaria-amante: Edmonde Pampin, diventata sua complice dalla sera in cui, guidando a zig zag con la mano destra fra le cosce di lei, sente dietro di se il clacson di un pullman che sta riportando a Parigi i bambini di una colonia estiva. Lui – con l'auto piazzata in mezzo alla carreggiata, sotto la pioggia sferzante – sterza cercando di raddrizzare la Citroen, ma non ci riesce, l'asfalto è scivoloso. Il pullman che procede a gran velocità riesce a passare lo stesso.
I due non si voltano, nella loro freddezza vanno avanti, non si fermano,neppure quando lo specchietto retrovisore rimanda la scena del pullman che si schianta contro un muro in un rogo mostruoso.
Edmonde rappresenta per Joseph la via di fuga dalla sua quotidianità.
Il rapporto di intimità instaurato tra loro non è dato solo dal piacere carnale, fisico, immediato. Joseph crede di aver trovato nella ragazza "ciò che aveva sempre cercato per tutta la vita” e che nessuno, né la famiglia, né la moglie Nicole, gli aveva mai dato.
"Il gioco segreto tra i due aveva le sue regole, i suoi segnali, i suoi riti consacrati”.
Dice il narratore: "Non erano innamorati,ma solamente complici in un mondo diverso, e quel mondo assomigliava più a quello dell’infanzia che non a un mondo maledetto”.
Con lei desidera sprofondare fino all'estremo limite dell'abisso, ha fame di lei, del suo sesso e delle fasi misteriose del suo piacere (p 129), gli resta solo questo, quello che era un loro diritto, prendere il volo, saltare in un'altra dimensione (p 132).

© Marzia Pasticcini
Certaldo, 28 gennaio 2013

sabato 26 gennaio 2013

L'arte del sottrarre

Mentre stavo ascoltando fahrenheit 451, sono stata rapita dalle parole di Luca Ricci – giovane autore italiano (pisano) contemporaneo. Ho alzato il volume e l'ho sentito parlare di gioco di specchi e rimandi letterari: nel suo nuovo libro, "Mabel dice sì",  il suo intento era di costruire un racconto che fosse il rovescio (di genere femminile) del «Preferirei di no» de “Lo scrivano Bartleby” di Melville.
Un ex studente al Conservatorio sogna di diventare un virtuoso del pianoforte, ma per mantenersi accetta di lavorare come portiere di notte. La cosa interessante è il fatto che l'autore si è divertito a sottrarre informazioni ai personaggi, tacendo quel che loro fanno dopo il lavoro (dopo che il riflettore si è spento), e dirigendo l'attenzione sulla semplice struttura della storia.
Qui il protagonista, che parla in prima persona, non può fare a meno di osservare ciò succede intorno: i colleghi, i clienti, le porte di camere segrete chiuse a chiave, la figura evanescente di Mabel che dona in giro carità e sesso a chi lo chiede e ne ha bisogno; il tutto è raccontato in prima persona, filtrato attraverso gli occhi del protagonista.
Togliere informazioni sui personaggi, per Ricci significa voler esplorare i limiti di ciò che è possibile narrare. Addirittura i personaggi secondari appaiono più veri e più interessanti dei protagonisti, perché semplicemente osservati, filtrati dallo sguardo vigile di chi sa cogliere significati da gesti e azioni che con sguardo distratto non saremmo in grado fare.
La poetica che sottosta al libro è infatti la storia che deve stare in primo piano, soprattutto quando  si tratta di racconto; nel romanzo è più facile incorrere nel rischio di accumulare informazioni e questo, di conseguenza, devia l'attenzione, portandola sui personaggi, a volte a scapito della storia.

© Marzia Pasticcini
Certaldo, 26 gennaio 2013

domenica 13 gennaio 2013

Letteratura Partecipativa sull'orlo del piacere

Si parla di “letteratura performativa” in questa storia di appena cinquanta pagine. Non è un romanzo e neppure un racconto. È una lettera destinata ad una giovane donna in viaggio in treno da Parigi a La Rochelle. Su precise istruzioni, compra un copia di "Le Monde" di quel Sabato 20 luglio e sale sul treno. Si siede nel posto prenotato, apre il giornale. È una lettera per lei, una lettera così  provocante e sensuale da poter finire in mano ai 600.000 lettori di “Le Monde”.
La voce del narratore si esprime in seconda persona, un tu confidenziale che le detta le regole del gioco: un invito a pensare, visualizzare e compiere gesti erotici, dove l'eccitazione non sta tanto nel gesto in se stesso, ma nel suo procrastinarlo, per fermarsi sull'orlo del piacere.
Il narratore le impone di fermarsi nella lettura, per un tempo preciso, scandito dall'orologio, ad un'ora e minuti precisi che corrispondo a una tappa del percorso: “Se tutto è andato per il verso giusto, se hai rispettato i tempi indicati, tu stai leggendo questa pagina oggi sabato 20 luglio verso le ore 16.15, e il treno è appena ripartito dopo la fermata di Poitiers.”.
Leggere è come annullare lo spazio e il tempo, portando in contatto scrittore e lettore in un tempo altro, un eterno presente: “Io l'ho scritta a fine maggio, prima di partire per la Russia. Ho scritto a “Le Monde” di fissare la data di pubblicazione”.
Ogni buona storia ha un tempo e uno spazio ben definito. Scrivere e leggere è in definitiva come viaggiare: cosi come al treno che sta giungendo a destinazione, rimangono tre quarti d'ora di viaggio, allo scrittore 5000 caratteri dei 35000 concessi.
Una lettura partecipata da altri lettori di "Le Monde" che viaggiano nel medesimo convoglio e che condividono la medesima esperienza della destinataria della lettera.  Sono anche loro i protagonisti: i viaggiatori di quel treno TGV Parigi-La Rochelle delle ore 14:45 di quel sabato 20 luglio descritto nella storia che stanno leggendo e vivendo, come lo sono del resto anche i lettori del romanzo.
Troppi personaggi ha questa storia, lamenta ad un certo punto il narratore, più avanti nel testo, che non riuscendo più a controllare, decide di lasciare la presa. Però la storia procede comunque e lui, lasciandosi trasportare dall'immaginazione, dà loro libero arbitrio e la richiesta-invito per un sequel performativo e/o interattivo.

® Marzia Pasticcini
Certaldo, 13 gennaio 2013

sabato 29 dicembre 2012

La mandorla più bella del mondo


Nell’antica civiltà araba, lontana da dogmi religiosi, godere e procurare godimento era un dovere del credente. Questo riscopre Badra, dopo essere fuggita da casa, da un paesino dell’entroterra marocchino, e dalle umiliazioni costretta a subire per la mancata gravidanza. Una fuga meditata per cinque lunghi anni, dopo essere stata data in sposa ad un uomo più vecchio di lei, un ricco e rispettabile notaio di quaranta anni, quando lei invece ne aveva solamente diciassette e gli unici valori che le venivano riconosciuti erano la sua verginità e la sua capacità riproduttiva.
A Tangeri Badra scopre, la libertà, la libertà di essere se stessa, di amare e di provare piacere. Il riscatto però viene dalla parola scritta. Badra inizia a scrivere la propria storia, crede nella letteratura come arma fatale, capace di riconnettere i fili spezzati tra il corpo e l’anima, tra un individuo e l’altro, tra le donne e il sesso, tra l’amore e il piacere erotico loro negato da una tradizione integralista. La scrittura le dà la libertà di riconciliarsi con se stessa, ripercorrere le fasi della sua vita. di rompere i lacci che la tenevano segregata in uno stato di inconsapevolezza di sé e di alienazione dal suo corpo e dalle sue emozioni.
Dal desiderio che nella vagina le crescessero dei rovi così che il marito “si sarebbe scorticato l’attrezzo, e avrebbe smesso di entrarci”, dal suo proposito, la prima notte di nozze di “restare immobile. Non gemere. Non vomitare. Non provare niente. Morire”, a Tangeri, Badra inizia la sua vera educazione sentimentale ed erotica. Qui impara ad avere cura della sua mandorla, così che il proprio uomo “deve desiderare di piantarci dentro i denti, prima di infilarci qualcos’altro”, come le dice la zia Selma nel bagno turco.
Stufa di essere sottomessa al suo sposo al quale non era riuscita di dare un figlio, e intollerante del libertinismo più sfrenato di Driss, l'amante infedele che ama alla follia, la protagonista si darà alla vita più dissoluta come atto di ribellione.
Badra, denunciando l'egoismo degli uomini, si fa così portavoce di tante donne arabe e dell'autrice stessa, che protetta dall'anonimato, ha deciso di violare il silenzio sulla vita matrimoniale e sessuale delle donne arabe attraverso un racconto erotico che è soprattutto un coraggioso atto politico.

Certaldo, 23 dicembre 2012
© Marzia Pasticcini

mercoledì 5 dicembre 2012

La risposta araba alle cinquanta sfumature

La storia è il viaggio iniziatico di Leila, che con l’aiuto della zia Zobida, una vedova di mezza età, guaritrice e dalla doppia vita, fugge dal villaggio nativo, dopo aver rischiato di essere ripudiata dal marito e dalla famiglia di lui perché, la prima notte di nozze,  l’imene non ha sanguinato. L’inesperienza del marito e la tensione e la paura della ragazza hanno contribuito affinché la "gatta" o  la “mandorla” della ragazza non si aprisse.
La zia ha una storia sessuale segreta e decide di “istruire” la ragazza lontano dall’ambiente severo e bigotto del villaggio,  rivelando ai suoi familiari che la ragazza non  può essere penetrata a causa di un incantesimo fatto fare dalla madre della ragazza, ora defunta. Una fattucchiera ha “sigillato” l’imene di Leila, che ora può essere riaperto solo da quella stessa maga. Durante il tragitto attraverso il deserto africano e di villaggio in villaggio. Leila verrà iniziata ai piaceri del sesso.
Durante il viaggio Leila incontrerà altre donne e l'ascolto dei loro racconti, delle loro storie di dolore, romperà la solitudine e il divario tra le loro esperienze individuali. Recidendo i legami con il passato e le tradizioni imposte dalla religione imperante, la giovane Leila riuscirà  a dare un senso alla sua vita e a formarsi come persona e come donna.
L'autrice, di cui si ignora, volutamente, l'identità, tenta magistralmente di riannodare i fili con le tradizioni dell'antica civiltà araba felice e sensuale. La traversata dei sensi è un racconto erotico, dolce e coinvolgente, un atto di coraggio, di ribellione e libertà, per ridare alle donne una voce ancora oggi negata.

Certaldo, 5 dicembre 2012
Marzia Pasticcini

lunedì 29 ottobre 2012

Sono le storie a dare sapore alle cose


"Il desiderio è il solo motivo per cui andiamo avanti in mezzo a tanto orrore. Tutti abbiamo bisogno di una passione, o di un'ossessione. Cerca la tua. Desiderala fortemente, e fa' della tua vita la ragione stessa per cui vivi."
"Come faccio a sapere se la mia ossessione o la mia passione è quella giusta?..."
"Perché se la racconti a qualcuno e questi la trova interessante, allora saprai che non hai vissuto invano. Ricorda, figliolo: sono le storie a dare sapore alle cose."
Fantastico libro. dico solo questo: 
Semplicemente F A N T A S T I C O  e 
F A N T A S T I C O chi me lo ha consigliato e poi prestato.
Grazie infinite.

Marzia Pasticcini
Certaldo, 29 ottobre 2012