Una leggera foschia velava l’azzurro appena riscaldato da un pallido sole estivo.
Dita di luce accarezzavano penetrandole le verdi chiome mosse da una brezza leggera e disegnavano sagome in movimento.
Fruscii leggeri e scricchiolii, velati echi remoti eppure vicini, percettibili come l’occhio di chi, mutata prospettiva, rivisita luoghi assai noti eppure sfuggevoli di particolari per chi ha perso il gusto della lentezza, lentezza che guida i passi ovattati del viaggiatore curioso.
Il suo sguardo si muoveva lento al ritmo cadenzato dei suoi passi sulla fitta vegetazione che doveva scostare ogni volta con le mani nude per poter procedere oltre.
Sulla cima degli alberi risuonavano i primi cinguettii, un'ode al nuovo giorno che nasce.
Facevano capolino piccole creature eteree; rendevano grazie per il dono loro concesso ancora una volta: un altro giorno di vita.
Si risvegliavano. Un battito d’ala, uno svolazzo, avidi becchi piccini quasi a fendere l’aria come forbici divaricate.
La vita. Aria-terra-acqua, tre dimensioni inscindibili tra loro, eppure l’una predominante sull’altra per ogni singola creatura. Uccello-Uomo/Serpe-Pesce. Un triangolo perfetto con al centro Dio.
E pian piano, dopo essersi guardato attorno, il viaggiatore riprendeva il cammino al ritmo lento ed indolente di chi si lascia trasportare.
In lontananza, tra le fronde, qualcosa cominciava a prendere forma, qualcosa di indistinto e poi sempre più chiaro, un angolo, uno spigolo, man mano le fronde si diradavano rendendo visibile ogni singolo elemento vegetale, un albero dall’altro, un tronco dall’altro, le foglie da un'unica entità indistinguibile.
Le fronde ballerine proiettavano uno sfarzoso merletto di luci ed ombre sui bianchi muri.
Avvicinandosi, la villa si rivelava in tutta la sua maestosità. Sorgeva imponente su un piccolo isolotto affacciato su uno specchio d’acqua ferma, un laghetto-stagno dalle acque verdi muschio immobili, imperscrutabili.
Non vi era modo di procedere oltre; il cammino si arrestava.
Lasciò cadere la pesante sacca che portava a tracolla. Cadde con un tonfo sordo attutito dalla vegetazione.
Si lasciò cadere a sua volta, pesantemente. Le braccia conserte attorno alle ginocchia, la testa reclina, il mento poggiato in avanti.
Scrutava innanzi. Non vi era possibilità alcuna di attraversare. Non vi erano ponti, pontili, pietre sporgenti, né imbarcazioni, seppure malmesse. Neppure un tronco di legno da poter cavalcare per spingersi oltre.
Rimase in contemplazione.
Sull’argine destro, poco distante da dove sedeva, una botola si affacciava rispecchiandosi nell’acqua scura. A tutta prima non l’aveva notata. Era di metallo, color ruggine ossidata dal tempo e dalle infiltrazioni.
Gli venne in mente una parola: aspide, chissà perché!
Sul momento non ci fece caso, anche se la cosa pareva curiosa. Quale misteriosa associazione poteva esserci fra un aspide ed una botola arrugginita posta sul versante obliquo di un argine sulla riva di un lago?!
Chissà perché... Aspide.
Abbandonò il pensiero con un rapido movimento della testa ed una piega all’angolo sinistro della bocca, una smorfia, una traccia di sorriso.
Tornò a contemplare l’acqua.
Seguiva il profilo dell’edificio nel suo doppio liquido, inversa immagine riflessa. I capelli gli ricadevano sugli occhi. Il vento si era calmato ed era tornato il silenzio. Un silenzio inframezzato da scricchi e cinguettii. Il frinire delle cicale lo distoglieva dai suoi pensieri ed il suo sguardo si confondeva col verde.
Come mossa da mano invisibile si apriva la botola per poi richiudersi ed un grande uovo bianco prese a rotolare giù lentamente senza rumore e scivolò nell’acqua stagnante, impercettibile se non alla vista riflessa nel verde degli occhi.
Cerchi concentrici presero a formarsi sulla superficie, piccoli, medi, grandi sempre più grandi, sempre più grandi e più lenti e distanziati tra loro, diradandosi fino a scomparire del tutto. Una questione di tempo, accelerato in principio, onde intense e ravvicinate, per poi assottigliarsi in lente e distanziate increspature.
Il tempo è come sospeso. Tempo-colore-spazio. Un’unica dimensione, dedalo di nude, vacue cavità, si muove tortuoso ed indolente. Pace e penombra interrompono l’oro del mattino, inesorabilmente lasciato fuori.
Non sapeva come, ma già era dall’altra parte: una realtà separata.
Il corridoio lungo e stretto si snodava e curvava penetrando verso l’interno.
Vi si affacciavano stanze deserte, alternate ad altre, ove un paio di mobili soltanto, velati da bianche lenzuola, occupavano gli spazi.
Le imposte chiuse non impedivano al sole di squarciare l’oscurità. Aureole dorate incorniciavano i riquadri delle finestre. Lame di luce penetravano verso l’interno; fendevano l’aria; irrompevano attraverso le asticciole delle impannate; proiettavano schermi rigati; riverberavano fluttuanti increspature sulle pareti esangui, pozzi di luce sul pavimento, spade inclinate su cui turbinava il pulviscolo dorato: materia in movimento, atomi, particelle, visibili seppur piccoli.
Si mosse lentamente con sguardo avido a cogliere un palpito di vita rimasto sospeso nell’aria, sui muri, negli spazi.
Ala dimenticata, nascosta, si perdeva nell’ombra e richiamava la sua attenzione.
Abituandosi a poco a poco a quella plumbea atmosfera, come in una camera oscura, una forma indistinta alla sua sinistra, prese, pian piano, a delinearsi.
Uno scorcio che si profilava in prospettiva; una visione distante che gli veniva incontro al ritmo del suo incedere: una parete prima, una colonna poi che si propendeva in avanti, un’estensione della materia: un caminetto sormontato e incorniciato da stucchi che si stagliava in tutta la sua imponenza.
una massa indistinta ovoidale d’aspetto gli si stendeva vicino, e prendeva forma man mano che i passi lo conducevano innanzi.
Dal pavimento su, su, zoccoli scuri, due colonne d’ebano, si innalzavano. Un asse piana si allungava e si stringeva all’orizzonte: estremità di un tavolo.
Una protuberanza, piedi, gambe, corpo, testa, un corpo disteso d’umana parvenza, immobile, avvolto in un sudario che aderiva come una seconda pelle.
Una forma ovoidale.
Un uovo si stava schiudendo: aspide!
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