Cookies' Blog

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venerdì 15 settembre 2023

Der Bienenkorb

 Der  Bienenkorb (1)


<<Kann ich es sehen?>>

<<Ja!>>

<<Wo hast du es gefunden?>>

<<da, in einem Bienenkorb!>>

<<In einem anderem Korb?... in ein .... rovina abbandonata?>>

<<Ja!>> mi risponde il bambino, mentre tengo in mano il prezioso diario che sfoglio con cautela. La carta ingiallita. Chissà quali segreti trattiene.

La copertina rigida è leggermente staccata sul davanti; è di carta riciclata, spessa come un cartoncino di cartapesta, con sopra due rose in rilievo.


Ė stato trovato, a detta del ragazzino, in un capannino “Bienenkorb
abbandonato. E' una specie di tesoro …”Schatze”; ecco, non mi veniva la parola, che loro hanno depredato come pirati all’assalto di navi appena approdate su un’isola da conquistare.

Sto sfogliando il diario. Non è antichissimo. Si susseguono  foto a colori dell’interno di uno di questi capannini oblunghi di forma esagonale che si sviluppano in altezza come torri o roccaforti. Lo spazio angusto è comunque ben usufruito.


Sfoglio le pagine; passo in rassegna le foto. In una, appoggiati contro uno steccato bianco, alcuni oggetti da lavoro: un paio di stivali di gomma, un ombrello tradiscono l’uso di rimessa del Bienenkorb, come quello che si erge qui di fronte a me.

Mentre speculo su questo o quello non ho notato che i ragazzini si sono ripresi il diario.

Alzo la testa, giro lo sguardo.

L’erba verde del prato flotta nel vento: una parabola verde su cui siede un manipolo di ragazzini uniti a capannello immersi nella lettura del diario, aperto sulle loro ginocchia e la copertina, distaccatasi, poggia a terra con le rose che guardano verso l’alto.


<<Das ist ein Schatz!>> penso dentro di me. La frase muore dentro di me, non riesco ad esprimerla. Peccato non poterlo trattenere un tesoro di tal sorta. Lo avrei tenuto volentieri. Il mio pensiero va mentre loro si sono già lanciati nelle loro corse sfrenate a depredare quella o altra roccaforte.


Alzo lo sguardo. Il giovane professore tedesco sta tenendo la lezione con i suoi studenti che lo seguono con attenzione ed interesse.

La mia curiosità mi ha spinto troppo allo scoperto. Sono un invasore, me ne rendo conto subito quando il mio sguardo cade su quel laboratorio all’aperto di pietre preziose: una distesa di lapislazzuli e pietre di ogni forma e colore stesi su un tavolo nel laboratorio orafo allestito all’aperto, ai cui lati si assiepano gli studenti tedeschi delle vacanze studio.


Il maestro non mi rivolge nemmeno lo sguardo oltreché la parola; continua a parlare imperterrito.

<<.... Entschuldigungs…>> abbozzo, rendendomi conto di essermi spinta oltre, nel vedere la mia ombra proiettata su un diamante/zircone privo di tutta lucentezza naturale.


<<
Tut es mir Leid! ....das Licht.......>>

<<zu nehmen!>>

 

Mi fa coro una ragazzina mora seduta di fronte a me, quando mi sono frapposta fra le pietre preziose e la luce.

 

©️ Marzia Pasticcini

(mercoledì 1 settembre 2004)


mercoledì 13 settembre 2023

Sogno o son desta? Sincronicità?

Finito di leggere e giunta a destinazione, ripiego accuratamente gli occhiali da lettura e li ripongo nella loro custodia. Quelli da sole gli avevo gettati in borsa prima di salire.

Scendo dal treno, c'è troppa luce. D'istinto cerco a tastoni gli occhiali da sole sopra la testa, non ci sono.

In quale borsa li avrò mai messi, nella borsa bianca di pelle a zainetto o in quella di stoffa nera?

Fatti due passi mi fermo un attimo, sposto la borsa di stoffa dall'altro lato, libero lo zaino dal braccio sinistro, armeggio con la cerniera in situazione precaria, vi rovisto dentro… e...

Non ci sono.

La borsa di stoffa poi è talmente ingombra e congestionata che non riesco a trovare niente di quel che voglio, non è sufficiente puntellarla sulle ginocchia per guardarci dentro; mi occorre un appoggio sicuro.

Vedo una panchina libera che fa proprio al caso mio.

Mi avvicino, faccio per appoggiarla

sul sedile, quando sento un rumore sordo, di un oggetto di plastica che cade.

GLI OCCHIALIII!

Spero tanto che non si siano rotti nell'impatto.

Mi chino per raccoglierli, ma in terra non c'è niente.

Guardo sotto la panchina e non li vedo.

Eppure… lo avevo sentito, il suono… di qualcosa che cade.

Guardo ancora, ma non c'è niente!

Sogno o son desta?

Questo è un sogno, non può essere che un sogno!… mah…

Ma quali mi sarebbero caduti… quelli da sole di cui avrei ora bisogno o quelli da lettura?

Tolgo un bel po' di oggetti dalla borsa nera: il libro, la bottiglietta dell"acqua minerale, la lampada da lettura cinese… il cellulare… la custodia… il caricabatteria… le cuffie che sono  rimaste a penzoloni.

Ah… ECCOLI!

Me li accomodo sulla testa a mo' di passata, metto via tutti gli oggetti alla rinfusa nella borsa e mi affretto per andarmene, ma… quelli da lettura, poi mi servono… anche solo per il telefonino.

Torno sui miei passi.


La panchina è ancora libera. Vi scaravento sopra le borse, faccio per sedermi, quando lo sguardo mi cade nello spazio oltre il sedile, tra questo e la spalliera.

Dietro, in basso, accostato alla parete, mi sembra di notare qualcosa.

Mi chino per meglio guardare quell'oggetto scuro quando sento una turista straniera urlare il nome del suo compagno -- "HEI… JOHN… COME ON! -- che le sta venendo incontro dalla biglietteria.

Tutta agitata mi si avvicina. Mi strappa gli occhiali di mano e se ne vanno con mille ringraziamenti: "thanks… thanks… grazie… grazie…!".

Mah…sogno o son desta?

Mi ero appena rialzata da sotto la panca, li stavo osservando; erano gli occhiali da lettura perché avevano le lenti trasparenti, la montatura marroncina di celluloide…

Ancora incredula e perplessa, mi riscuoto da queste riflessioni e prendo a raccogliere gli oggetti che avevo sparso sulla panchina, per sistemarli di nuovo  nelle due borse, e cosa vi trovo?

I miei occhiali da lettura perfettamente ripiegati e riposti nella loro custodia.

Sogno o son desta..?


Giunta in città, dopo una tazza di caffè, ho una visione; senza una ragione alcuna un'immagine si va formando nella mente: mi sembra di vedere una bancarella dei libri a metà prezzo.


Decido di non passare dalla solita strada, ma da quella più lunga e cosa trovo nella piazza?

L'edicola dei libri a metà prezzo.

SOGNO O SON DESTA?



È infine giunta l'ora del rientro; ho già preso posto nel mio scompartimento: la borsa sul sedile, gli occhiali sul tavolino, ma il treno non parte.


DOBBIAMO CAMBIARE BINARIO!!!

SOGNO O SON DESTA???!!!,

SINCRONICITÀ?


©️ Marzia Pasticcini

mercoledì 13 settembre 2023







 


domenica 10 settembre 2023

Sogno lucido con stabilizzazione della scena

ANTEFATTO NELLO STATO DI VEGLIA

Stamattina presto mi alzo per andare in bagno, poi preparo una tisana di acqua e limone con un po' di miele.

Saranno state le 7 quando Andrea mi chiede un caffè, al che mi rifiuto di farlo perché voglio per prima cosa bermi la tisana.

Torno a letto e mi riaddormenta.

Qualche ora più tardi, Camilla e Andrea si alzano, li sento tra il dormiveglia che armeggiano in cucina per preparare il caffè e la colazione.

Decido di alzarmi anche io, anche se controvoglia, perché il desiderio di caffè si fa sentire, ma ho ancora molto sonno.

Mi giro nel letto e cambio posizione.

STATO IPNAGOGICO

Li sento discutere se prendere prima caffè o fare colazione. Penso di prendere il caffè e finalmente mi decido ad alzarmi.

RISVEGLIO NELLO STATO DI SOGNO LUCIDO

Mi alzo, guardo fuori dalla finestra. È una giornata di sole. Il cielo è azzurro e i riflessi del sole scintillano sulle increspature del mare blu.

Un galeone sta entrando in porto, le vele innalzate. Lo seguo con lo sguardo mentre si fa strada verso di me, seguito da presso da una nave di epoca contemporanea.

Corro in cucina gridando a Camilla e Andrea di guardare fuori. Torno a guardare la scena: lo scintillare del sole dorato, il galeone che avanza seguito dalla nave che è entrata completamente nel mio campo visivo.

Giro lo sguardo verso l'altra finestra del nostro appartamento situai in una mansarda che si affaccia sui tetti di Siena.

Sotto di me, perfettamente schierare, come su un pendio, piccole casette rosse dal tetto spiovente, come uscite fuori da un film di Hayao Miyazaki.

"Sto sognando...

Stiamo sognando, STIAMO TUTTI SOGNANDO1" vado gridando trascinando Andrea e Camilla verso le finestre.

"STOAMO SOGNANDO TUTTI" grido al massimo della voce, mentre continuo a trascinare Andrea per farlo guardare fuori, mentre Camilla impegnata in cucina volta lo sguardo, sorpresa verso di me senza abbandonare la sua postazione.

"Seh..., sogna lei" circa di sminuirw la cosa Andrea.

"Ma come, queste casette rose, questi tettucci, il mare... il sole che rifulge tra le onde..." sto tentafo di obiettare.

Gieo di nuovo lo sguardo fuori e la sera non cambia: Il Galeone avanti seguito dalla nave moderna e le casette rosse sul tetto sottostante, ma lui non mi crede.

Mi precipito fuori dell'appartamento per cercare una conforms alle mie sensazioni, Devo trovare qualcoasa, una pubblicazione di qualsiasi genere, in stampa o su internet che confermi o smentisca la presenza del mare nella città in cui abito. Mi ritrovo in un luogo pubblico, dove è in corso una mostra. Il curatore illustra l'evento con una proprietà di linguaggio tale da sembrare impossible si tratti di un sogno, cerco cosi di menorizzare quanto piu possibilw del suo discorso. Mentre mi avvio verso il mio appartamento, presa dalla frenesia, quasi travolgo due signore sedute su una panchina in un corridoio del palazzo. Inciampo sui loro piedi e caldo a terra. Mi rialzo scusandomi e corro verso il mio appartamento.

La porta è aperta e due ragazzini guardano dei cartoncini Bristol su uno scaffale del mio appartamento. Chiedo loro cosa facciano lì e cosa intendono fare, mi risponfono che hanno bisogno di un cartoncino per un disegno che devono presentare a scuola.

Su quello che hanno già in mano sono annotati alcuni numeri di telefono e il mio mome e indirizzo. Mi scuso con loro dispiaciuta e me lo riprendo.

Scendo con Camilla in un corridoio affollato come il sottopasso della stazione di Firenze. Davanti a un negozio un gattino tigrato appena nato muove i primi passi a piccoli balzi come un cerbiatto. Non osiamo avvicinarci dato che la mamma gatta acquattata in un angolo non lo perde di vista mentre il cucciolo appare e scompare tra i piedi dei passanti. 

La scena scompare e mi ritrovo nel letto.

RISVEGLIO

Dalla cucina Il gorgoglio della moka e l'aroma del caffè che Camilla ha appena fatto mi sorprendono nel letto.

Era davvero un sofno lucido e ho perso tempo per cercare di convincere gli altri.

©️ Marzia Pasticcini

Domenica, 16 maggio 2021


Discesa scale, casa viaggiante, Arabia (sogno lucido)


Discesa scale, casa viaggiante, Arabia (sogno lucido) 

Scalinata che scendo nel solito modo che faccio nei sogni. Ne sono sorpresa ed entusiasta. 

"Ho vinto la paura delle scale perché riesco a scivolare giù come nei sogni". Così vado raccontando in giro. 

Evento pubblico in cui mi esibisco. 

L'immagine svanisce e mi rendo conto di stare sognando. Non era la realtà, mi sto per svegliare. 

Apro leggermente gli occhi e dalla porta finestra vedo la testa di una statua di pietra che sormonta una collina al di sopra della città. 

Un grido soffocato mi desta, ma quel che credo sia la realtà, ne sono convinta già, si tratta di un sogno. 

Anche questo è un sogno. 

La casa si sta muovendo lungo un viale, come fosse un’automobile. Scendo giù sul marciapiede del mio appartamento che si sta stabilizzando in città. 

Vedo cartelli pubblicitari, pannelli con immagini olografiche delle Province e indicazioni stradali su fondo verde come si trovano in autostrada. Anche le targhe delle auto hanno scritte olografiche. Vedo le auto scorrere via, inghiottite da un sottopasso sormontato da tre pannelli verdi con le indicazioni stradali scritte in più lingue e in arabo. 

Decido di fare due passi in città e sfruttare il sogno. Prima però mi devo alzare. 

Prima di aprire gli occhi, ancor prima di vedere la statua, sono a letto, gli occhi ancora chiusi. Li tengo ben stretti per rimanere nel sogno lucido. Andrea accanto a me non vuole che mi alzi, mi tieni avvinghiata. 

Mi alzo, vado in giro seminuda. 

Gli uomini, tutti, mi guardano con desiderio e io mi eccito. 

Negozio: profumeria. Mi tocco le labbra e chiedo una crema che mi spalmo sul seno e sul viso. Mi faccio dei pizzicotti e so di essere sveglia: ciò che sento sotto le dita è ciccia. Posso comprare quello che mi pare e farlo mettere sul conto del marito. 

Prendo anche un paio di collane. Alcune ragazze che lavorano lì come commesse me ne fanno posare una perché è il simbolo dell'Isis e io non lo sapevo. Me ne dispiace perché mi piaceva. 

La collana è simile alla scritta del programma televisivo Al Jazeera e in parte alla mano di Fatima ma con la forma di un asso di picche rovesciato.

Marzia Pasticcini

(anno 2008/2013)

 

sabato 9 settembre 2023

La sciamana e l'imbuto


Sono da Andrea B., a ogni vendita che fa punta contro il cliente un filtro a forma di imbuto di tre centimetri circa di diametro e vi soffia dentro, vaporizzandogli sulla testa, una sorta di acqua benedetta, mentre recita un breve mantra. 

Non potendo resistere alla tentazione, non appena lo appoggia sul banco, lo prendo io e ci soffio dentro.

Comincia a formarsi una nebbiolina che si fa più densa, come ectoplasma, mentre io piano piano scivolo in trance e in una sorta di dormiveglia.

Sono una sciamana. 

Andrea se ne rende conto e me lo dona.

Casa mia, cucina, molta gente a tavola. C’è anche Albano che nota il mio imbuto da sciamana che avevo lasciato nel portafrutta, lo prende e se lo gira tra le mani incuriosito.

Balzo dalla sedia e glielo strappo di mano chiedendo scusa.

Lo sciacquo brevemente in una ciotola d'acqua che è sul tavolo e ci soffio sopra dalla parte larga per asciugarlo. L'acqua che era rimasta all'interno viene sparata fuori e si ferma a mezz'aria, a circa cinquanta centimetri dalla testa, formando una fila di perle argentate, piccoli cristalli di ghiaccio sospesi nell’etere.

Avvicino la mano destra a toccare questa catenella di perle e non appena la sfioro col polso, l’equilibrio si rompe e le perle, attratte dalla forza di gravità, precipitano giù. Ma anziché cadere a terra, si riversano sul mio polso formando un braccialetto che sistemo con la mano sinistra.

Le mani sono rimaste leggermente vischiose e umide.

Non mi sono ancora ripresa dalla sorpresa che una cliente di Andrea mi chiede alcuni quadri che si è decisa a vedere.

La intrattengo con cortesia, poi mi volto e vedo che Andrea la conosce già e sa cosa darle.

Lascio finire la trattativa a lui.


© Marzia Pasticcini 

giovedì 20 agosto 2015




Aspide

 

Una leggera foschia velava l’azzurro appena riscaldato da un pallido sole estivo.

Dita di luce accarezzavano penetrandole le verdi chiome mosse da una brezza leggera e disegnavano sagome in movimento.

Fruscii leggeri e scricchiolii, velati echi remoti eppure vicini, percettibili come l’occhio di chi, mutata prospettiva,  rivisita luoghi assai noti eppure sfuggevoli di particolari per chi ha perso il gusto della lentezza, lentezza che guida i passi ovattati del viaggiatore curioso.

Il suo sguardo si muoveva lento al ritmo cadenzato dei suoi passi sulla fitta vegetazione che doveva scostare ogni volta con le mani nude per poter  procedere oltre.

Sulla cima degli alberi risuonavano i primi cinguettii, un'ode al nuovo giorno che nasce.

Facevano capolino piccole creature eteree; rendevano grazie per il dono loro concesso ancora una volta: un altro giorno di vita.

Si risvegliavano. Un battito d’ala, uno svolazzo, avidi becchi piccini quasi a fendere l’aria come forbici divaricate.

La vita. Aria-terra-acqua, tre dimensioni inscindibili tra loro, eppure l’una predominante sull’altra per ogni singola creatura. Uccello-Uomo/Serpe-Pesce.  Un  triangolo perfetto con  al centro Dio.

E pian piano, dopo essersi guardato attorno, il viaggiatore riprendeva il cammino al ritmo lento ed indolente di chi si lascia trasportare.

In lontananza, tra le fronde, qualcosa cominciava a prendere forma, qualcosa di indistinto e poi sempre più chiaro, un angolo, uno spigolo, man mano le fronde si diradavano rendendo visibile ogni singolo elemento vegetale, un albero dall’altro, un tronco dall’altro, le foglie da un'unica entità indistinguibile.

Le fronde ballerine proiettavano uno  sfarzoso merletto di luci ed ombre sui bianchi muri.


Avvicinandosi, la villa si rivelava in tutta la sua maestosità. Sorgeva imponente su un piccolo isolotto affacciato su uno specchio d’acqua ferma, un laghetto-stagno dalle acque verdi muschio immobili, imperscrutabili.

Non vi era modo di procedere oltre; il cammino si arrestava.

Lasciò cadere la pesante sacca che portava a tracolla. Cadde con un tonfo sordo attutito dalla vegetazione.

Si lasciò cadere a sua volta, pesantemente. Le braccia conserte attorno alle ginocchia, la testa reclina, il mento poggiato in avanti.

Scrutava innanzi. Non vi era possibilità alcuna di attraversare. Non vi erano ponti, pontili, pietre sporgenti, né imbarcazioni, seppure malmesse. Neppure un tronco di legno da poter cavalcare per spingersi oltre.

Rimase in contemplazione.

Sull’argine destro, poco distante da dove sedeva, una botola si affacciava rispecchiandosi nell’acqua scura. A tutta prima non l’aveva notata. Era di metallo, color ruggine ossidata dal tempo e dalle infiltrazioni.

Gli venne in mente una parola: aspide, chissà perché!

Sul momento non ci fece caso, anche se la cosa pareva curiosa. Quale misteriosa associazione poteva esserci fra un aspide ed una botola arrugginita posta sul versante obliquo di un argine sulla riva di un lago?!

Chissà perché... Aspide.

Abbandonò il pensiero con un rapido movimento della testa ed una piega all’angolo sinistro della bocca, una smorfia, una traccia di sorriso.

Tornò a contemplare l’acqua.

Seguiva il profilo dell’edificio nel suo doppio liquido, inversa immagine riflessa. I capelli gli ricadevano sugli occhi. Il vento si era calmato ed era tornato il silenzio. Un silenzio inframezzato da scricchi e cinguettii. Il frinire delle cicale lo distoglieva dai suoi pensieri ed il suo sguardo si confondeva col verde.

Come mossa da mano invisibile si apriva la botola per poi richiudersi ed un grande uovo bianco prese a rotolare giù lentamente senza rumore e scivolò nell’acqua stagnante, impercettibile se non alla vista riflessa nel verde degli occhi.

Cerchi concentrici presero a formarsi sulla superficie, piccoli, medi, grandi sempre più grandi, sempre più grandi e più lenti e distanziati tra loro, diradandosi fino a scomparire del tutto. Una questione di tempo, accelerato in principio,  onde intense e ravvicinate, per poi assottigliarsi in lente e distanziate increspature.

Il tempo è come sospeso. Tempo-colore-spazio. Un’unica dimensione, dedalo di nude, vacue cavità, si muove tortuoso ed indolente. Pace e penombra interrompono l’oro del mattino, inesorabilmente lasciato fuori.

Non sapeva come, ma già era dall’altra parte: una realtà separata.


Il corridoio lungo e stretto si snodava e curvava penetrando verso l’interno.

Vi si affacciavano stanze deserte, alternate ad altre, ove  un paio di mobili soltanto, velati da bianche lenzuola, occupavano gli spazi.

Le imposte chiuse non impedivano al sole di squarciare l’oscurità. Aureole dorate incorniciavano i riquadri delle finestre. Lame di luce penetravano verso l’interno; fendevano l’aria; irrompevano attraverso le asticciole delle impannate; proiettavano schermi rigati; riverberavano fluttuanti increspature sulle pareti esangui, pozzi di luce sul pavimento, spade inclinate su cui turbinava  il pulviscolo dorato: materia in movimento, atomi, particelle, visibili seppur piccoli.


Si mosse lentamente con sguardo avido a cogliere un palpito di vita rimasto sospeso nell’aria, sui muri, negli spazi.

Ala dimenticata, nascosta, si perdeva nell’ombra e richiamava la sua attenzione. 

Abituandosi a poco a poco a quella  plumbea atmosfera, come in una camera oscura,  una forma indistinta alla sua sinistra, prese, pian piano, a delinearsi.


Uno scorcio che si profilava  in prospettiva; una visione distante che gli veniva incontro al ritmo del suo incedere: una parete prima, una colonna  poi che si propendeva in avanti, un’estensione della materia:  un caminetto sormontato e incorniciato da stucchi che si stagliava in tutta la sua imponenza.

una massa indistinta ovoidale d’aspetto gli si stendeva vicino, e prendeva forma man mano che i passi lo conducevano innanzi.


Dal pavimento su, su, zoccoli scuri, due colonne d’ebano, si innalzavano.  Un asse piana si allungava e si stringeva all’orizzonte: estremità di un tavolo.

Una protuberanza, piedi, gambe, corpo, testa, un corpo disteso  d’umana parvenza, immobile, avvolto in un sudario che aderiva come una seconda pelle.

Una forma ovoidale.

Un uovo si stava schiudendo: aspide!

 

© Marzia Pasticcini
Griselda Scrittura, 30 agosto 2006
Racconto da un'immagine onirica sul tema "Il Fantasma"