Cookies' Blog

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venerdì 17 agosto 2018

La vetrina

In piedi di fronte all’angolo edicola del bar tabacchi, noto, in un punto a sinistra dell’espositore delle riviste, un pacchetto di fiammiferi che subito intasco.Ora mi occorrono le sigarette.Ne ho una accesa e il barista-tabaccaio mi mostra un pacchetto di Moore.

Le rifiuto, non so bene quali prendere, non ne ricordo nemmeno il nome.

Penso di prendere quelle bianche, sottili che, ecco, dall’esterno del bar dove è l’edicola e i tabacchi, l’uomo si sposta verso l’interno, dietro al bancone per servire un cliente.

Mi addentro con la sigaretta accesa che un cliente mi fa notare.

Io protesto perché è il barista che mi fa aspettare, stava servendo me.

Mi scappa la pipì.

Vado nel salone interno, apro la porta del bagno, la richiudo e appendo le due borse a un chiodo sulla parete di fronte al cesso.

Mi accorgo che anche quella è una porta, senza chiusura, con il pannello centrale verticale in vetro trasparente.

Solamente le borse mi celano un po’ alla vista.

Mi sposto a destra. La potrei fare nel bidè che sta di fronte a un muro.

Ma chi se ne frega. Mi scappa troppo forte, mi fa male la vescica.

La faccio nel vaso, tanto non entra nessuno.

Uno scroscio infinito, mi scappa ancora nonostante l’abbia già fatta.

Poi mi rendo conto di essermi seduta sul vaso.

Mi alzo ed esco.

Davanti a me una struttura in ferro battuto si estende in altezza. È una piantana con dei pendenti in vari punti che sembrano orecchini. Quanto sono belli, sono diversi l’uno dall’altro, in pietre e argento. Ne formo due coppie che stacco dalla struttura. Ne prendo altri due spaiati, ma bellissimi. È sufficiente mettere i gancetti a esse e sono dei bellissimi orecchini.

Mi sposto verso l’interno e vedo una vetrina.

Mi metto a rovistare.

Vedo alcuni boccettini di profumo, scatoline contenenti monete e carta moneta antiche e in valuta estera.

La mia curiosità aumenta via via che scopro altre scatole, altri fogli che non riesco a mettere a posto perché presa dalla frenesia.

Apro le ante sottostanti, mi sembra di essere in un sogno.

Riviste in lingua tedesca, mi sembra di intravedere il libro Grund Kurs Deutsch. È di qualcuno che abita qui.

Mi pento di avere preso i pendenti che restituisco mettendoli sul ripiano superiore.

Rientro nel salone.

Una ragazza entra, uscendo da un’altra porta.

Indossa una vestaglia celeste, ha un accento tedesco, dice di lavorare lì.

È la proprietaria, ha una bambina e non sempre è nel bar, ci va quando ha sistemato tutto.

©️ Marzia Pasticcini

(17 agosto 2018)

venerdì 28 agosto 2015

La cabina ascensore

Notte. Strade e case illuminate. Luisa cammina con passo deciso. I tacchi risuonano sul selciato bagnato con ritmo regolare cadenzato, fino a sparire dietro una tenda scura sovrastata da un'insegna illuminata: “CINEMA”.
Andrea mi invita a seguirlo. Una leggera foschia si è alzata velando di bianco l'oscurità.
Camminiamo rompendo il silenzio coi nostri passi ovattati, tingendo di bianco fumo l'aria con il nostro respiro.
L'ascensore ci porta su, sempre più su. Le immagini scorrono lente sullo schermo trasparente delle nostra cabina. Sprofondano in un abisso fatto di niente.
Su, su, sempre più su. Le immagini scorrono lente sullo schermo trasparente della nostra cabina; sprofondano in un abisso fatto di niente.

Su, su, sempre più su, ferri, impalcature, cantieri, ossature, scorrono; sfuggono inesorabilmente allo sguardo riducendosi a nere, grige formiche. Istantanee della memoria.



© Marzia Pasticcini

martedì 26 novembre 2013

Cookies' Blog: Il mio caro amico Walter Fusi

Cookies' Blog: Il mio caro amico Walter Fusi: Molti anni fa, la prima volta che andai a trovarlo all'Isola d'Elba, dove risiedeva per molti mesi l'anno, non avevo l'...

lunedì 10 giugno 2013

Ali di babbo

Leggerezza, semplicità, magia, sono gli ingredienti di questo piccolo romanzo che descrive, attraverso gli occhi di una quattordicenne, una Sardegna selvaggia che non vuole cambiare.
Abbandonata dal padre in tenera età, la ragazzina percepisce la sua presenza in una dimensione onirica e fantastica, nelle “ali di babbo” che assumono lenzuola, coperte, stoffe, mosse dal vento.
L’adolescente tiene un diario, in cui annota pensieri, avvenimenti che le accadono attorno; curiosa, osserva e descrive le persone che la circondano.
Tra queste, c’è Madame, la stramba vicina, proprietaria di terre e di un albergo di quattro camere che affitta ai turisti e che, con ostinazione, si rifiuta di vendere ad avidi costruttori, che vorrebbero stravolgere quell’angolo di paradiso con un incantevole sbocco sul mare, trasformandolo in un posto turistico. Così facendo però, Madame si priva di diventare ricca e fare una vita migliore. Madame è così chiamata perché sogna di andare a Parigi e, nel frattempo studia il francese.
Vive però dei pochi soldi che guadagna con l’affitto e dalla vendita dei prodotti agricoli che riesce a ricavare dalla sua terra.
La ragazzina osserva Madame, i suoi amanti, scene di sesso, gli amori un po’ strambi e i riti magici di Madame per farli stare in piedi. Madame crede nella magia e la dispensa in modi personali e approssimativi allo scopo di rendere la gente più felice, perché "senza la magia la vita è solo un grande spavento".

© Marzia Pasticcini
Lunedì 10 giugno 2013

domenica 9 giugno 2013

Mal di pietre

La complicità, la condivisione degli ideali e l'amore passionale, tanto sognato, arriva un po' tardi nella vita della protagonista, una donna sarda di quarant'anni, e in maniera inaspettata durante un soggiorno in uno stabilimento termale in Continente, per curare il "mal di pietre", i calcoli renali. Non ha figli perché la malattia di cui soffre la fa abortire durante i primi mesi di vita.
È in questo ambiente che la donna troverà il coraggio di tirare fuori l'emotività che le ha condizionato talmente la vita da farla apparire “matta”, perché essere persone troppo sensibili non rientra nella normalità.
Già a trent'anni il matrimonio le era apparso come una possibilità sfumata, perché la sua emotività faceva fuggire tutti i pretendenti eccetto un uomo, arrivato a Cagliari nel '43 dopo che la guerra gli aveva spazzato via la casa e la famiglia.

Vive nella casa della ragazza che sposerà per sdebitarsi con la famiglia di lei per l'ospitalità ricevuta.
I due coniugi non si amano, si danno del voi, non si conoscono neppure, non c'è molta confidenza tra i due sposi che se ne stanno nel letto l’uno distante dall’altro. Il marito soddisfa le sue esigenze sessuali nel bordello e allora la moglie, al solo fine di risparmiare i soldi delle marchette per comprare il tabacco della pipa che lui fuma, si sostituisce alle prostitute, come loro senza amore: “Così voi fumate la pipaNessuno mai ho visto fumare la pipa. ...Non dovete più spendere i soldi per le donne della Casa Chiusa. Quei soldi dovete spenderli per comprarvi il tabacco e rilassarvi e fare la vostra fumata. Spiegatemi cosa fate con quelle donne e io farò uguale”. (pag. 24).
Però l'amore vero, che fa battere il cuore, è quello per il Reduce, un uomo colto, passionale, incontrato durante il soggiorno alle terme, il cui ricordo non l'abbandona più e che l’unico modo per accettare la realtà è quello di trovare una via di sfogo, nell’idealizzare ciò che è il nostro massimo desiderio. E lo sfogo della donna è la scrittura, poesie e pensieri che lei scrive da sempre di nascosto, ma che aveva trovato il coraggio di condividere i suoi pensieri con il Reduce perché anche lui aveva una passione: suonare il piano, e la comprendeva.
Ed è attraverso la scrittura che la nipote (la voce narrante) viene a conoscenza della storia d'amore della nonna.
È per avere scoperto lettere d'amore infuocate che la ragazza aveva scritto ai suoi pretendenti che un giorno la madre, la bisnonna della narratrice, l'aveva aspettata in cortile con un nerbo di bue, pronta a colpirla fino a farla sanguinare e a farle venire le piaghe: “ i pretendenti andavano via perché nonna gli scriveva poesie d'amore infuocate che alludevano anche a cose sporche e che sua figlia stava infangando non solo se stessa ma, ma tutta la famiglia. E continuava a colpirla, a colpirla e a urlarle: 'Dimonia! Dimonia!' e a maledire il giorno in cui l'avevano mandata in prima elementare e aveva imparato a scrivere” (pagg. 11-12) . “D’altronde la nonna amava scrivere e aveva un quaderno, una sorta di diario, un quaderno nero bordato di rosso”.

© Marzia Pasticcini
Domenica 9 giugno 2013

domenica 17 marzo 2013

La camera azzurra


È arrivato il turno del terzo libro di Simenon: “La camera azzurra”. Un romanzo perfetto che ha contribuito alla Simenonite, contratta di recente e spero mi abbia lasciato sufficienti anticorpi letterari.
Seppur non originale come tema, la tecnica dell'autore nel disseminare informazioni con salti temporali a partire da flashback al momento presente della narrazione da parte del protagonista è sufficiente a spingere ad una lettura senza sosta, per vedere se i sospetti del lettore trovano conferma.
In sole 153 pagine, vediamo che pagina 1 è già successo molto e a pag. 51 è già accaduto tutto.
Tony vive una vita banale senza grandi scosse emotive. È sposato con Gisèle, una casalinga tranquille e ordinaria. Hanno una bambina: Marianne. Apparentemente una vita perfetta: ha una casa, un lavoro, una moglie Gisèle che ama e una figlia che lo fanno sentire sicuro e tranquillo.
Ma qualcosa manca nella sua vita: l'emozione che trova tra le braccia di Andrée, ex compagna di classe con la quale inizia una storia passionale che si consuma nella camera azzurra di un albergo del centro gestito dal fratello.
A complicare le cose c'è il fatto che anche Andrée è sposata, e Tony pian piano inizia a mentire, a complicarsi la vita per organizzare gli incontri clandestini con l'ansia di venire scoperto.
L'ambiente in cui vivono, non è di poco conto: la provincia francese dove tutti sanno tutto di tutti anche se fingono di non sapere.
Tony, preso dalla passione, non riesce a rendersi conto che Andrée è un'amante ossessiva che non rinuncia facilmente al progetto di una vita futura insieme. Quando se ne rende conto, è già troppo tardi, Tony vorrebbe troncare la relazione, ma Andrée ha decisamente altri propositi.

© Marzia Pasticcini
Certaldo, 17 marzo 2013

mercoledì 27 febbraio 2013

Effimera felicità


Il Treno è il secondo romanzo di Georges Simenon che leggo. In una parola: bellissimo. Descrive la Storia che irrompe nella vita di gente comune, senza chiedere loro il permesso.
Il protagonista è Marcel Féron, un artigiano, riparatore di radio, il cui laboratorio occupa il piano terra del medesimo stabile dove vive con la famiglia – una moglie al settimo mese e mezzo di gravidanza e una figlioletta di appena quattro anni.
È il mese di maggio del 1940, i nazisti sono alle porte, minacciano i confini della Francia. Féron, come molti suoi compaesani, è costretto ad abbandonare la sua casa per mettersi in salvo con tutta la famiglia.
Sovraccarico di bagagli si dirige alla stazione dove prenderà d'assalto uno dei pochi treni ancora disponibili dopo che un ordine di evacuazione ha incalzato molti dei suoi compaesani a partire senza una destinazione precisa, se non mettersi in salvo sciamando verso sud con destinazione La Rochelle.
Costretto a viaggiare su un carro bestiame in compagnia di altri profughi che, come lui, il destino ha fatto deragliare dalla quotidianità, viene separato dalla moglie e dalla figlioletta che viaggiavano in un altro convoglio.
Durante il tragitto, il treno sosta più volte come abbandonato in mezzo alla campagna, subisce un bombardamento areo tedesco, viene più volte smembrato: il convoglio dove viaggiavano la moglie e la figlioletta è stato staccato dal treno, durante la notte e diretto in tutt'altra destinazione.
Sempre di notte, nella promiscuità dello spazio angusto, in mezzo a compaesani divenuti profughi, ogni convenzione sociale viene abbandonata e si consumano bisogni fisiologici e rapporti carnali.
Quando Marcel incontra la bella sconosciuta, nel suo stesso convoglio, non ci sono che sguardi tra loro ed è come se la sua famiglia fosse stata risucchiata nell'oblio.
Un po’ alla volta, senza che si siano raccontati le reciproche storie, i due diventano inseparabili, finché, durante la prima notte che passano l’uno accanto all’altra sulla paglia ammucchiata per terra, confusi fra altri corpi sconosciuti, accade l'immaginabile per Marcel, un tipo timido, mediocre e pudico. Da perfetti sconosciuti fino a poche ore prima, che ignoravano l'esistenza l'uno dell'altra danno inizio ad una passione amorosa senza limiti, una sorta di deragliamento emotivo che gli isola dal resto del mondo (l’occupazione tedesca, i convogli di sfollati, il centro di accoglienza che li ospita insieme ad altre decine di profughi), serrati in un universo tutto loro fatto di desiderio, di passione erotica, disperazione ed effimera felicità.
Per poche settimane sfuggono alla routine immersi in una bolla di amore e di passione erotica senza freni come solo può accadere quando si è in guerra: «Vivevamo un tempo di attesa, fuori dallo spazio, e io divoravo quei giorni e quelle notti con ingordigia».
Marcel nel suo diario confessione scrive: «Ero ingordo di tutto, dello spettacolo mutevole del porto e del mare, dei barconi da pesca di diversi colori che salpavano in fila indiana con l’alta marea, del pesce che veniva sbarcato nelle ceste o nelle cassette, della folla nelle strade, dei diversi aspetti del campo e della stazione».
«Ero ancora più affamato di Anna», racconta Marcel, «e, per la prima volta, nella mia vita non mi vergognavo dei miei desideri sessuali. Anzi, con lei era diventato un gioco che mi sembrava assolutamente puro. Ne parlavamo con gioia, con candore, inventando tutto un codice, adottando un certo numero di segnali che ci permettevano, in pubblico, di comunicarci i pensieri segreti».

© Marzia Pasticcini
Certaldo, 27 febbraio 2013